Associazione Nazionale Polisportive Dilettantistiche per l'Integrazione Sociale
PRESIDENTE
Roberto Grelloni

A.N.P.I.S.
Associazione Nazionale Polisportive per l'Integrazione Sociale

Si tratta di una associazione costituita nel 2000 cui aderiscono 40 associazioni polisportive diffuse su gran parte del territorio nazionale e che progressivamente, a partire dalla prima metà degli anni '90, si sono costituite come strumento di promozione sociale e di lotta alla marginalità adottato in diversi settori dello svantaggio psicosociale. Le polisportive sono nate dapprima a partire dall'attività di operatori e utenti di servizi pubblici e cooperative sociali del settore della salute mentale, per poi essere costituite anche da chi affrontava i problemi del disagio giovanile e della tossicodipendenza.

La Toscana è stata il luogo d'origine di tale prospettiva di azione sociale, tant'è che è stata la prima realtà a costituire un coordinamento regionale, che oggi annovera 27 polisportive iscritte. I contatti che queste polisportive hanno saputo instaurare, come pure gli scambi fra gli operatori coinvolti ed i colleghi di altre località nazionali, hanno avuto la capacità di stimolare la nascita di molte altre progettualità intonate da una medesima intenzionalità.

Il motore moltiplicatore di una simile progettualità può essere riconosciuto in una precisa prospettiva teorica e pratica circa il significato di parole-chiave come "prevenzione" e "promozione della salute". Consideriamo le suddette parole-chiave essenzialmente coincidenti, o meglio consideriamo il problema della prevenzione confluire e tramutarsi, se si vuole essere efficaci, in quello della promozione della salute e questa, a sua volta, tradursi operativamente in metodi di costruzione di minoranze attive e cioè di cittadinanza partecipata.

L'obiettivo della prevenzione è essenzialmente una modificazione delle condizioni (materiali, ecologiche, sociali, culturali e psicologiche) che influiscono sulle biografie personali e sui destini di tale biografie che tali condizioni contribuiscono a determinare, come pure sulle biografie collettive - e, cioè, sulla storia sociale di gruppi reali. Il problema che si pone è il metodo attraverso cui produrre una simile modificazione.

Problema che va affrontato considerando alcuni dei più significativi fattori di rischio per, e di protezione da, evenienze patologiche e di disagio, psicosociale, secondo quanto riportato da una vasta letteratura internazionale:

  1. Le ricerche multicentriche dell'Organizzazione Mondiale della Sanità indicano come il sostegno sociale sia uno dei principali fattori predittivi positivi del decorso della schizofrenia. Essendo il sostegno sociale una funzione della rete sociale delle persone, questo dato evidenzia la necessità di costruire il legame sociale come uno dei cardini della cura.
  2. Il sostegno sociale è, per altro, considerato uno dei fattori di prevenzione del disagio psicosociale in generale è posto come concetto centrale per la produzione di salute da discipline come la psicologia di comunità e la psichiatria sociale.
  3. Lo stigma sociale connesso alla malattia mentale, cosi come alle varie forme di devianza, costituisce un fattore di rischio e di cronicizzazione: da una parte, allontana i soggetti in stato di bisogno dalle organizzazioni di cura - cosa che produce un ritardo fra insorgenza di configurazioni patologiche e possibili interventi terapeutici; dall'altra, alimenta i circoli viziosi della marginalizzazione.
  4. La disoccupazione si pone sia come prodotto di situazioni patologiche e/o di "devianza sociale" - e, va sottolineato, dello stigma che lo accompagna - che come fattore di esclusione.

Considerando quanto sin qui esposto, l'azione delle polisportive si declina secondo le seguenti prospettive:

  • La scelta organizzativa , l'associazionismo, costituisce una forma naturale di aggregazione fra le persone in funzione di obiettivi condivisi. Essa, cioè, si configura come modalità culturalmente sancita di produzione di legame sociale, che negli anni si è dimostrata latrice di spazi di condivisione e di sostegno fra i soci coinvolti. E' da sottolineare, inoltre, che l'associazionismo proposto è rivolto a tutta la cittadinanza, non costituendo cioè degli spazi separati fra "normalità" e "malattia"; fattore, questo, che costituisce una delle precondizioni di un qualsiasi reinserimento sociale.
  • Lo stigma è l'attribuzione di (dis)valore che accompagna il dispiegarsi di un pregiudizio. Il pregiudizio, tuttavia, di per se, non costituisce una deformazione del processo di conoscenza, ma semplicemente e basilarmente la forma dell'approccio reale, nel senso della preconoscenza (senso comune) che si viene a costruire nelle persone in riferimento ad una certa porzione della realtà, all'interno di determinate condizioni strutturali. Da questo punto di vista, quella del pregiudizio è una dimensione che accomuna la comunità (nell'ambito di una sostanziale non-interazione con la malattia mentale in quanto realtà che continua ad essere separata), gli operatori dei servizi (nell'ambito di un'interazione professionale con i propri utenti, che si declina negli ambienti separati della clinica e dei contesti protetti) e i familiari (nell'ambito di un'interazione che si dispiega progressivamente, in assenza di possibilità alternative, nell'alternanza fra mura domestiche e luoghi della cura/assistenza). Le polisportive hanno costituito e costituiscono uno spazio comune , "intermedio" fra i luoghi della cura e quelli della "normalità" , che, coinvolgendo direttamente la comunità (sia nelle sue dimensioni individuali che istituzionali) e configurando una specifica strutturazione dell'interazione fra "normalità" e "malattia", ha permesso e permette: - a quote considerevoli di cittadinanza, di interagire direttamente e concretamente con le dimensioni della sofferenza e del disagio psicosociale, permettendo di rivalutare pregiudizi e connesse attribuzioni valoriali (stigmatizzazioni). Questo, chiaramente, non ha significato eliminare ne la sofferenza/malattia, ne le difficoltà/disabilità delle persone seguite dai servizi, ma sicuramente ha contribuito ha riformulare le attribuzioni di pericolosità, stupidità, imprevedibilità, e asocialità, che spesso sono associate alla malattia mentale o ad altre forme del disagio. Riformulazione che non è sostituzione di un pregiudizio negativo con uno positivo, ma verifica - caso per caso e momento per momento - dell'equilibrio fra sofferenza/malattia/necessità di supporto e assistenza e salute/possibilità di interazione e scambio; - a quote di familiari, di interagire con il parente malato in situazioni che impegnano quest'ultimo in attività sociali finalizzate cui anche lui contribuisce in varia misura e quindi di riformulare le proprie aspettative oltre le dimensioni di assistenza e contenimento quotidiani; - agli stessi operatori, di ricredersi non tanto sui livelli di sofferenza/patologia vissute dagli utenti, ma sicuramente sulle quote di salute che essi possono esprimere, permettendo cosi di riformulare le loro aspettative sul paziente, e in senso più specifico, i progetti terapeuitici.
  • Se si allarga il valore patogeno della disoccupazione a tutte quelle situazioni e ruoli caratterizzati da improduttività sociale, o meglio da una non contribuzione al senso sociale complessivo e quindi da morte civile, le polisportive hanno costituito e costituiscono dei mezzi attraverso cui le persone svantaggiate (spesso completamente estromesse dal circuito economico-produttivo) hanno potuto partecipare direttamente ad attività sportive, sociali, ecologico-ambientali, culturali e dunque recuperare una propria significatività sociale. Spesso queste attività si sono inscritte in una progettualità da terzo settore, da parte delle polisportive. Tali attività, hanno costituito la via attraverso cui le polisportive si sono poste come associazioni in grado di ottenere finanziamenti da parte di enti pubblici per attività di utilità pubblica.



In senso stretto, quindi le polisportive hanno permesso di procurare microredditi e/o redditi temporanei per i propri soci. Infine, a volte, tali progettualità sono confluite nella costituzione di vere e proprie cooperative di tipo B e quindi nella costruzione di lavori stabili.
A questi aspetti, va infine aggiunto che le polisportive, nel loro costruire occasioni sportive non competitive, svolgono un duplice ruolo: da una parte, specificatamente per i soci svantaggiati, permettono la riscoperta della dimensione del corpo e della sua cura (con tutti i ritorni diretti in termini di prevenzione della salute fisica); dall'altra, in generale, contribuiscono al movimento dello "sport per tutti", recuperando quote di popolazione estromesse o non interessate dalla pratica sportiva competitiva.

Per tutte queste ragioni, le polisportive si sono costituite come modalità concreta di promozione della salute e di lotta ai processi di marginalizzazione di varie fasce di popolazione a rischio. Questo è il senso che, negli anni, le polisportive hanno acquisito, andando a costituire ad un tempo: opportunità progettuale nell'ambito della cura e presa in carico della malattia mentale e di altre forme del disagio e della devianza e modalità comunitaria di promozione di forme attive di cittadinanza. Le varie realtà nazionali, per altro, presentano situazioni differenziate in funzione delle situazioni strutturali locali, dell'esperienza maturata dagli operatori e dai soci in generale, del rapporto che si è potuto istituire fra Istituzioni sociosanitarie/operatori impegnati in simili esperienze/polisportive. I coordinamenti regionali, prima, e l'Anpis, in un secondo momento, sono stati gli strumenti attraverso cui le polisportive hanno cercato di condividere esperienze e progettualità, di maturare modi condivisi d'azione e saper-fare comuni di organizzazione.


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